Progetto DeAndré


 

PolifonicoMonteforte

… i ladri, gli assassini e il tipo strano …

TitleFDA Progetto realizzato nel 2008 dal PolifonicoMonteforte e dedicato alle canzoni di Fabrizio De André.

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Brassens

Chanson pour l’Auvergnat

Ma il primo brano in programma è un omaggio ad un precursore di De André: Georges Brassens. “…Avevo già delle idee politiche ben precise, ricavate da Brassens che ascoltavo dalla mattina alla sera, grazie ai dischi che mio padre mi portava dalla Francia…” (Fabrizio De André)

G. Brassens, Chanson pour l’Auvergnat, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
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Amore che vieni, amore che vai

“Amore che vieni, amore che vai” è stato il primo esperimento di trasposizione per coro e pianoforte delle canzoni di De André. Fin da subito ho avuto la percezione del tradimento del dettato originale. Quella tromba dell’arrangiamento di Reverberi! E’ passato del tempo prima di farmi convinto che, nonostante ciò, si potesse proseguire con le altre rielaborazioni.

F. De André, Amore che vieni, amore che vai, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
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La città vecchia

Da un verso di questa canzone è tratto il titolo del progetto: “I ladri, gli assassini e il tipo strano”. Nel brano c’è uno scarto armonico di terza minore tra la tonalità della prima strofa e quella della seconda. «E’ una transizione armonica non molto frequente, a differenza di quella canonica alla tonalità un tono sopra che si trova un po’ dappertutto nella popular music non solo italiana». Sono parole di Franco Fabbri, il quale, inoltre, definisce tali procedimenti come una «ricerca di una diversità dalla produzione ‘leggera’ corrente, che era facile identificare con usurate successioni tonica-dominante e con l’invadenza nelle melodie della sensibile». Condivido queste affermazioni. Va aggiunto che questa forma strutturale dell’impianto armonico si trova anche ne La Canzone di MarinellaLa Canzone di BarbaraVia del CampoPreghiera in Gennaio.

F. De André, La città vecchia, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
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La Canzone di Marinella

«Questa canzone è nata da una specie di romanzo familiare applicato ad una ragazza che a sedici anni si era trovata a fare la prostituta ed era stata scaraventata nel Tanaro o nella Bormida da un delinquente. Un fatto di cronaca nera che avevo letto a quindici anni su un giornale di provincia. La storia di quella ragazza mi aveva talmente emozionato che ho cercato di reinventarle una vita e di addolcirle la morte» (Fabrizio De André).

F. De André, La canzone di Marinella, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
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Geordie

La storia del bracconiere Geordie, che De André traduce da una ballata inglese che risale all’epoca cinquecentesca, si presta più facilmente alla trasposizione per coro. Merito dell’origine antica della linea melodica, di natura modale. Essa, infatti, offre immediati spunti all’elaborazione polivocale. Ne deriva, quindi, il calco di una chanson polifonica.

F. De André, Geordie, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
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Il pescatore

«Genova è anche gli amici vivi che da lontano ti vedono crescere e invecchiare, per esempio i pescuèi che, proprio come ne Il pescatore, hanno la faccia solcata da rughe che sembrano sorrisi e, qualsiasi cosa tu gli confidi, l’hanno già saputa dal mare» (Fabrizio De André)

F. De André, Il pescatore, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
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La guerra di Piero

«…più che la mediatrice di un’opera, la voce – questa voce precisa, insostituibile – è qui la vera e più profonda sorgente di quell’opera, la precede (a dispetto delle apparenze) e la fonda. Estremizzando, si potrebbe affermare che ciò che De André ha davvero creato è la sua voce, di cui i testi e le musiche costituiscono – per così dire – le condizioni d’ascolto» (Umberto Fiori). Voce unica, dunque, quella di Fabrizio De André. Voce, le cui qualità timbriche, si esaltano nel registro medio-grave. Pertanto, le tonalità delle sue canzoni (soprattutto del primo periodo) insistono sulle tessiture gravi. Un fatto che comporta un certo imbarazzo nella trascrizione per coro. I pesi e contrappesi del discorso polifonico impongono il trasporto a tonalità mediane, adatte a trasferire stralci melodici alle varie sezioni della compagine vocale. Ma non sempre è possibile individuare una tonalità media convincente. Ne La guerra di Piero ho risolto alcuni passaggi, in cui si potrebbe manifestare una carenza di “peso” della linea melodica, utilizzando l’unisono tra contralto e tenore, o il raddoppio in ottava tra tenore e basso. Ho sempre considerato La guerra di Piero come una canzone che racconta il lato umano di un soldato e non come un manifesto pacifista e antimilitarista. Mi colpisce la solitudine del singolo destinato a soccombere vittima di un’immane tragedia collettiva. Sarà questo il motivo per cui vorrei mettere in musica i versi di Rimbaud. Le dormeur du val C’est un trou de verdure où chante une rivière Accrochant follement aux herbes des haillons D’argent; où le soleil, de la montegne fière, Luit: c’est un petit val qui mousse de rayons. Un soldat jeune, bouche ouverte, tête nue, Et la nuque baignant dans le frais cresson bleu, Dort; il est étendu dans l’herbe, sous la nue, Pâle dans son lit vert où la lumière pleut. Les pieds dans les glaïeuls, il dort. Souriant comme Sourirait un enfant malade, il fait un somme: Nature, berce-le chaudement: il a froid. Les parfums ne font pas frissoner sa narine; Il dort dans le soleil, la main sur sa poitrine Tranquille. Il a deux trous rouges au côté droit.

F. De André, La guerra di Piero, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
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Crêuza de mä

In Crêuza de mä, come in tutte le altre canzoni dell’omonimo album, De André e Pagani insistono sull’uso del dialetto genovese antico e sull’utilizzo di suoni di strumenti musicali dell’area mediterranea. Questi sono i tratti principali che hanno contribuito all’apprezzamento del lavoro dei due autori. Osservo, inoltre, che in Crêuza de mä ci si imbatte in una momentanea e spiazzante irregolarità metrica: da 4/4, a 5/4, a 6/4, quindi di nuovo a 4/4 (E anda e anda e anda ayo). Insomma, uno scarto nel metro che si aggiunge agli altri connotati tipici dello stile etnico.

F. De André, Crêuza de mä, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
Bubola&DeAndre

Hotel Supramonte

«Alla sera andammo in un albergo chiamato Miralago, dove feci amicizia con il proprietario, che aveva, proprio sotto l’hotel, un piccolo night. Mi disse: «Perché non torni da queste parti in inverno? Suoni qualche canzone con la chitarra la sera, per un’oretta. In cambio ti posso dare vitto e alloggio per due persone, lo ski-pass e qualcosa per le piccole spese». Mi sembrava una buona proposta e accettai. Con me venne la mia fidanzata di allora. Era un rapporto un po’ turbinoso e si litigava per poco. Qualche tempo prima di partire per il militare, abbozzai la canzone. “Hotel Miralago” non mi piaceva come titolo, lo cambiai in Miramonti perché suonava meglio. Era l’inverno del 1978. La feci ascoltare a Fabrizio nel giugno del 1980, quando ci incontrammo a militare concluso. Mi disse: «La canzone è affascinante, perché non ci lavoriamo un po’?» «In che modo?» domandai io. «Incrociamo i nostri ricordi, come due pittori che lavorano alla stessa parete». E fu così. […] E’ inevitabile che, essendo Fabrizio il cantante ed essendo molto forte e conosciuta la storia del suo sequestro, tutti l’abbiano vista e interpretata in quella direzione. Non solo: inserita nel contesto di un rapimento, assume una drammaticità e uno struggimento particolari, ma nel tempo, credo, tornerà a essere, per chi non ha conosciuto le vicende, una pura canzone d’un amore vissuto». (Massimo Bubola)

F. De André, Hotel Supramonte, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
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Ho visto Nina volare

«Una tradizione della città di Matera, oggi purtroppo già estinta, vede da oltre due secoli, le donne più anziane dedite all’antico mestiere dell’apicultura. Sembra che usassero masticare fettine di favo, all’uopo preparate, per ore ed ore, ottenendo in tal modo la separazione del miele dalla cera. Queste due preziose sostanze venivano quindi espulse dalla bocca in appositi recipienti, e quindi, pronte per l’uso. Questa storia mi è arrivata direttamente da Ivano Fossati quando, ad un concerto di vari anni fa, ha introdotto la canzone Ho visto Nina Volare, scritta insieme a Fabrizio De André. È stata una vera e propria rivelazione. Lo stesso Fossati mi ha confessato di essere stato letteralmente rapito da quella terra e di avervi soggiornato a lungo, con Fabrizio, per alimentare il fiume di poesia portato da quegli enormi affluenti che sono le tradizioni orali di quel posto». (Carlo Bonanni). Va sottolineata la cura che l’autore riserva all’articolazione della parola. Terzina di crome seguita da duina è la precisa traduzione ritmica del carattere prosodico dell’espressione parlata «Mastica e sputa». mastica1 Ho ascoltato l’esecuzione di altri cantanti che hanno re-interpretato questa canzone. Non so se per vezzo, o per ricerca di particolari “smorfie vocali”, o per mancanza di perizia, ma più d’uno è caduto nel seguente travisamento ritmico, goffo e scorretto. mastica2

F. De André, Ho visto Nina volare, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
StoriaSbagliata

Una storia sbagliata

«La canzone ha molti riferimenti alla realtà sulla fine di Pasolini, ma non è un documentario su di lui. A me e Fabrizio interessava realizzare qualcosa che si staccasse dai fatti e li osservasse, illuminando anche le reazioni della gente, la voglia di insabbiamento, le chiacchiere da parrucchiere sulla vita privata del poeta. Pasolini era una delle più lucide coscienze critiche del nostro paese. Quanto ci mancano oggi i suoi scritti indignati, gli articoli anche ingenui e lunari, le sue proposte provocatorie. Ricordo ancora i titoli di qualcuno dei suoi articoli: “Paghiamo i maestri come i ministri” o “Aboliamo le tv”; le polemiche con l’amica Dacia Maraini o Moravia. La sua parte corsara, i suoi scritti civili, quello ci mancava e ci manca […] Si può dissentire su alcune opere di Pasolini, ma a essere fuori discussione è il suo coraggio, la sua caparbietà. Affrontava argomenti scomodi e tabù, soprattutto per quegli anni. Lui stesso era scomodo, anche per chi la pensava come lui, perché non era inquadrabile, né prevedibile. Era un comunista atipico, un cattolico atipico, un ribelle atipico, un uomo atipico».(Massimo Bubola)

F. De André, Una storia sbagliata, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
indiano

Quello che non ho

«Era la psicologia dei miei sequestratori. Era come se dicessero: “A me non manca niente, ma perché mi devi mettere sotto il naso la villa con piscina, l’automobile, l’aereo privato? A questo punto me ne crei il bisogno”» (Fabrizio De André)

F. De André, Quello che non ho, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
carte

Volta la carta

«I primi versi appartengono ad una filastrocca preesistente che già conoscevo – «c’è una donna che semina il grano / volta la carta e viene il villano / il villano che zappa la terra / volta la carta e viene la guerra» e così via. Da lì poi abbiamo proseguito noi. Volta la carta è per me un perfetto esempio di “dadaismo” contadino e popolare. La metrica è in endecasillabi su cui puoi inventare accoppiando delle rime baciate. Ricordo mia nonna che la cambiava ogni volta che la cantava. Non contenti di inserire nuove strofe, abbiamo anche operato nel ritornello l’innesto di altre canzoni popolari. La prima è quella che parla di Angiolina e che mia madre cantava spesso: «Ohi Angiolina bell’Angiolina / innamorato io son di te / E la gaveva la veste rosa e le scarpette di raso blu»; la seconda è Madamadorè che «ha perso sei figlie / tra i bar del porto e le sue meraviglie». Poi c’è un omaggio a quella commedia all’italiana ancora legata al neorealismo che è Pane, amore e fantasia: il carabiniere del paese che ha fatto innamorare Angiolina-Lollobrigida («carabiniere l’ha innamorata / volta la carta e lui non c’è più») era il giovane carabiniere veneto comandato dal maresciallo Vittorio De Sica. Poi c’è un riferimento ad altri film di quel periodo con l’arrivo del soldato americano che portava i primi dischi delle grandi orchestre jazz, «ragazzo straniero ha un disco d’orchestra che gira veloce che parla d’amore». L’intento era di creare una filastrocca d’impianto folk sulla quale aprire finestre di cinema popolare e richiami alla tradizione della canzone contadina del passato. Alla fine, su tutti, emergono due figure gioiose e pure: quella del bambino che sale il cancello, ruba ciliegie e piume d’uccello e Angiolina. Poi, come in tante di quelle commedie, c’è il lieto fine: «Angiolina ritaglia i giornali si veste da sposa canta vittoria / chiama i ricordi col loro nome volta la carta e finisce in gloria». (Massimo Bubola)

F. De André, Volta la carta, PolifonicoMonteforte, M. Zuccante, arr.
  mauro zuccante – 2009-08-19