Canti del Risorgimento I

Canti del Risorgimento

prima parte

[da un progetto realizzato in collaborazione con il Coro dell’Università di Macerata, diretto da A. Cicconofri]

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1842 – G. Verdi, “Va’ pensiero”

TemistocleSolera VaPensiero-testo
Temistocle Solera,
autore del libretto del Nabucodonosor,
andato in scena al Tetra alla Scala di Milano, nel 1842
Solera riprende dal Salmo CXXXVI l’immagine dell’arpa che pende muta dal salice, perché gli esuli sulle rive del fiume Eufrate dovevano tacere i canti a loro cari, per non esporli alla profanazione degli idolatri.
«Sui fiumi di Babilonia,
là sedevamo piangendo
al ricordo di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre».
GPDaPalestrina-PapaGiulioIII SalmoCXXXVI
Giovanni Pierluigi da Palestrina
e Papa Giulio III
Palestrina ha composto sul testo del Salmo CXXXVI un mottetto, oggi apprezzato come uno dei suoi capolavori.
«Super flumina Babilonis,

Illic sedimus, et flevimus,
dum recordaremur tui, Sion,
in salicibus in medio ejus,
suspendimus organa nostra».
[Psalmus CXXXVI]
Palestrina-SuperFlumina-1
GVerdi-1842 Nabucco-frontespizio
Giuseppe Verdi nel 1842
Alla Scala il successo del coro fu enorme e il pubblico chiese insistentemente il bis. La sottomissione degli Ebrei e il loro canto nostalgico furono interpretati come simbolo della condizione degli italiani soggetti al dominio austriaco. Il coro del Nabucco divenne da allora uno degli inni dei moti risorgimentali, causando a Verdi qualche problema con la censura austriaca.

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 1847 – M. Novaro, “Il Canto degli italiani”

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Goffredo Mameli, autore del testo del Canto degli italiani. Il manoscritto di Goffredo Mameli della prima redazione del Canto degli italiani. Si legge «Evviva l’Italia» – poi cambiato in «Fratelli d’Italia» – e «Siam stretti a coorte» – poi cambiato in «Stringiamgi (sic!) a coorte».
MNovaro CantoDegliItaliani-testo
Michele Novaro è stato il compositore della musica dell’Inno nazionale italiano. Forse per la sua indole modesta, egli non trasse mai grosso vantaggio da questa composizione.
La vita di Novaro fu quantomai semplice. Nel 1849 era a Torino, con un contratto di secondo tenore e maestro dei cori dei Teatri Regio e Carignano. Convinto liberale pose il suo talento compositivo al servizio della causa d’indipendenza, musicando molti canti patriottici ed organizzando varie raccolte di fondi per finanziare e sostenere le imprese di Giuseppe Garibaldi.
Tornato a Genova, fra il 1864 ed il 1865, fondò una Scuola Corale Popolare, ad accesso gratuito, alla quale dedicò tutto il suo impegno.
Morì povero, il 21 ottobre 1885, tra difficoltà finanziarie e problemi di salute. Per iniziativa dei suoi ex allievi, gli venne eretto un monumento funebre nella sua città natale nel Cimitero monumentale di Staglieno, accanto alla tomba di Giuseppe Mazzini.
Con la proclamazione della Repubblica nel 1946, in vista dell’imminente giuramento delle nuove Forze Armate in programma per il 4 novembre, il Governo De Gasperi, nel Consiglio dei Ministri del 12 ottobre, decise di proporre uno «schema di decreto col quale si stabilisca che provvisoriamente l’inno di Mameli sarà considerato inno nazionale». Ma tale schema non vide mai la luce. Da allora il Parlamento ha trattato più volte il problema di ufficializzare l’Inno nazionale, secondo diverse modalità normative. Una prima soluzione prevedeva un disegno di legge costituzionale per aggiungere nell’articolo 12 della Costituzione il seguente comma: «L’inno della Repubblica è “Fratelli d’Italia”». Una seconda soluzione consisteva in una legge ordinaria per rimandare a un decreto del Presidente della Repubblica l’emanazione di un disciplinare con il testo integrale e lo spartito musicale originale dell’inno della Repubblica italiana «Fratelli d’Italia» e i relativi adattamenti musicali. Nessuna delle varie proposte ha però completato l’iter legislativo. Pertanto il nostro Inno nazionale, da un punto di vista ordinamentale, continua a mantenere formalmente un carattere di provvisorietà.
Sulle ragioni per le quali la decisione del 12 ottobre 1946 non ebbe segui- to sono state avanzate diverse supposizioni. Per alcuni fu una scelta di De Gasperi che non volle urtare la sensibilità di Papa Pio XII, che riteneva il canto di Mameli troppo mazziniano e giacobino. Altri avevano sottolineato l’eccesso di retorica (l’elmo di Scipio e la schiava di Roma) presente nel testo. C’erano anche altri concorrenti, come Va’ pensiero, La canzone del Piave e l’Inno di Garibaldi: in quest’ultimo caso però il fatto che l’effigie dell’eroe dei due mondi fosse ormai divenuta monopolio di socialisti e comunisti, che l’avevano utilizzata come simbolo elettorale nelle elezioni amministrative del 1946, fece tramontare sul nascere la candidatura. Comunque, nelle occasioni ufficiali, l’Inno di Mameli prese da subito il sopravvento. Significativamente il 22 dicembre 1947 l’approvazione definitiva della Carta Costituzionale da parte dell’Assemblea Costituente fu accolta dall’intonazione spontanea di Fratelli d’Italia da parte del pubblico delle tribune, imitato dai padri costituenti.
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Arrigo Boito e Giuseppe Verdi, autori rispettivamente del testo e della musica dell’Inno delle Nazioni. L’immediatezza dei versi e l’impeto della musica fecero di Fratelli d’Italia il più amato canto dell’unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Fu da subito adottato in Italia alla stregua di Inno nazionale, e come tale dovette considerarlo anche Giuseppe Verdi, che lo inserì, piuttosto che la Marcia Reale, accanto alla Marsigliese e all’Inno Nazionale inglese, nell’Inno delle Nazioni, da lui composto in occasione dell’Esposizione Universale di Londra del 1864.
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Arturo Toscanini Nel mese di luglio del 1943 (secondo altre fonti nel dicembre 1943 o maggio 1944) durante la Seconda Guerra Mondiale, Arturo Toscanini, che era stato costretto a emigrare dalla dittatura fascista, diresse negli Stati Uniti l’Inno Delle Nazioni deviando il suo significato politico: concluse il canto corale della cantata con Internazionale (inno della URSS) e l’inno degli Stati Uniti, The Star-Spangled Banner. Cambiò anche il testo della cantata sostituendo «O Italia, o patria mia» con «O Italia, o patria mia tradita».
« …
Salve, Inghilterra, Regina dei mari
Di libertà vessillo antico! … Oh, Francia,
Tu, che spargesti il generoso sangue
Per una terra incatenata, salve, oh Francia, salve!
Oh Italia, oh Italia, oh Patria mia tradita,
Che il cielo benigno ti sia propizio ancora,
Fino a quel dí che libera tu ancor risorga al sole!
Oh Italia, oh Italia, oh Patria mia!»
[A. Boito, da l’Inno delle Nazioni]

1848 – “Addio mia bella, addio”

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L’Italia nel 1848 L’Addio del volontario, più noto dal suo primo «Addio, mia bella, addio», è un inno composto nel marzo 1848 da Carlo Alberto Bosi in occasione della partenza di un battaglione di volontari fiorentini per la prima Guerra di Indipendenza. Il componimento si trova pubblicato in Versi e canti popolari d’un fiorentino (1859).
L’autore della musica è ignoto: si tratta probabilmente di un antico motivo popolare.
«Addio mia bella addio,
che l’armata se ne va,
e se non partissi anch’io
sarebbe una viltà
Il sacco è preparato,
il fucile l’ho con me,
ed allo spuntar del sole
io partirò con te.
Io non ti lascio sola
ma ti lascio un figlio ancor
Sarà quel che ti consola:
il figlio dell’amor».

Canti del Risorgimento – seconda parte