“Il nini muart”

P.P. Pasolini nel bar di Casarsa

Pier Paolo Pasolini ha pubblicato Il nini muart nella raccolta Poesie a Casarsa (1942), all’età di 20 anni.
Pochi, straordinari versi, in friulano casarsese, in cui si condensano le idee di vita (nascita, fanciullezza) e morte, in rapide, folgoranti immagini di alto contenuto simbolico: la sera, l’acqua, la donna incinta; il fanciullo, il suo pallore, le campane che suonano a morto.

Il nini muart

Sera imbarlumida, tal fossàl
a cres l’aga, na fèmina plena
a ciamina pal ciamp.

Jo ti recuardi, Narcís, ti vèvis il colòur
da la sera, quand li ciampanis
a súnin di muàrt.

P.P. Pasolini legge “Il nini muart”

Il fanciullo morto

Sera luminosa, nel fosso
cresce l’acqua, una donna incinta
cammina per il campo.

Io ti ricordo , Narciso, avevi il colore
della sera, quando le campane
suonano a morto.

(la versione in italiano è dello stesso Pasolini)

È una poesia che ho amato fin da subito, che mi ha fatto avvicinare alla produzione in friulano del giovane poeta. Quella produzione che, ancor oggi, apprezzo maggiormente, per la purezza arcaica e la qualità musicale dei versi.


Ho recuperato una vecchia registrazione della composizione, su questi versi di Pier Paolo Pasolini.

M. Zuccante, Il nini muart, per coro misto e pianoforte, PolifonicoMonteforte

Scarica la partitura.

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“Sui monti Scarpazi”, un requiem al femminile

Ho riascoltato, ieri sera, la versione di Sui monti Scarpazi, nell’adattamento che ho realizzato, da coro misto e quartetto d’archi, a coro femminile e pianoforte. L’occasione è stata un evento musicale, in cui l’Ensemble femminile I Piccoli Musici, diretto da Mario Mora, ha voluto riproporre i canti della Grande Guerra.
Ancora una volta, un’esecuzione raffinata e commovente.

Ma, tornando a Sui monti Scarpazi, ho fatto la seguente riflessione.
Fra tutte le canzoni italiane che rievocano la Grande Guerra – “… dall’altra e da questa parte”, vd. precedente post – , Sui monti Scarpazi esprime, meglio di altre, il tragico destino che si abbatté sulle donne durante, ma soprattutto dopo, il conflitto.

Sui monti Scarpazi è un piccolo requiem al femminile.
E’ pertanto doveroso restituire alla voce delle donne il pathos di questa toccante melodia.


Quando fui sui monti Scarpazi
miserere sentivo cantar
t’ho cercato fra il vento e i crepazi,
ma una croce soltanto ho trovà.
O mio sposo eri andato soldato
per difendere l’imperator,
ma la morte quassù hai trovato
e mai più non potrai ritornar.
Maledeta la sia questa guera
che mi ha dato sì tanto dolor,
il tuo sangue hai donato a la tera,
hai distrutto la tua gioventù.
Io vorei scavarmi una fossa
sepelirmi vorei da me
per poter colocar le mie ossa
solo un palmo distante da te.

M. Zuccante, Sui Monti Scarpazi, per coro femminile e pianoforte, Ensemble femminile I Piccoli Musici, Mario Mora, direttore – live, Casazza, 2015

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Manolo Da Rold – intervista

M. Zuccante: Manolo, sei organista, direttore di coro, compositore affermato, studioso e docente. E’ ovvio che parliamo di ruoli che si integrano perfettamente. Ma una propensione, una preferenza, per l’uno o per l’altro ce l’avrai. Insomma, cosa vuoi fare da grande?

M. Da Rold: Io da grande vorrei essere sereno continuando a fare musica, non ho una propensione particolare anche se ventiquattro anni di direzione di coro onestamente mi hanno segnato molto come musicista, vorrei continuare a fare musica con tutta la passione che ho, consapevole dei miei limiti e delle mie capacità e sicuramente vorrei avere più tempo per comporre.

M. Zuccante: Nel periodo di apprendistato, chi sono stati, in concreto, i maestri che hanno acceso in te la passione, hanno favorito la vocazione per la composizione e la direzione di coro? E poi, a quali modelli e autori del passato e contemporanei ti sei preferibilmente avvicinato e ispirato fin da subito per la composizione corale?

M. Da Rold: È una domanda talmente complessa che mi sarà difficile essere sintetico, perché sono stati molti i musicisti che hanno contribuito ad accendere in me la passione per la musica corale, alcuni legati alla mia città, ossia Belluno; ricordo le splendide esecuzioni, vere e proprie lezioni di prassi di polifonia antica e di canto gregoriano, di mons. Sergio Manfroi scomparso da poco e che ricordo con immenso affetto e gratitudine; ricordo vivamente Lamberto Pietropoli che con le sue semplici ed eleganti elaborazioni ha arricchito il repertorio di storici cori bellunesi. Ricordo con tanto tanto affetto il mio caro amico Paolo Bon e il suo cortile nella sua casa vicino a Feltre in cui passavamo ore a parlare di ‘arcaico’… Al di fuori della mia realtà cittadina ricordo con grande ammirazione Piergiorgio Righele: ho impresso nella mente quando quindicenne rimasi letteralmente a bocca aperta al termine di un concerto dei Cantori di Santomio; e poi i Philippine Madrigal Singers che nel 1994 cantarono per la prima volta a Mel, fu uno spettacolo di funambulismo corale che mi colpì tantissimo. Ma ci sono stati due musicisti che hanno inciso davvero profondamente sulla mia formazione; al conservatorio arrivò un nuovo docente di esercitazioni corali, l’allora giovanissimo Gianmartino Durighello. Il contatto con lui fu determinante per il mio approccio allo studio della composizione e mi aprì letteralmente la mente a nuovi orizzonti compositivi ed esecutivi. La mia riconoscenza va soprattutto a Nevio Stefanutti, l’uomo che ha creduto in me prima che ci credessi io stesso… è stato lui a spingermi quasi di forza nel mondo corale portandomi a seguire corsi di perfezionamento, ad ascoltare i concorsi, a sentire tutti i concerti possibili ed immaginabili; nel 1994 io fondai il mio primo coro e lui… ci ascoltò, venne spesso a sentirmi suonare l’organo, poi nel 1996 mi chiamò ad accompagnare la Corale Zumellese e nel 1998 scelse me come successore… un vero e proprio padre musicale!
Per quanto riguarda gli autori che mi hanno particolarmente segnato in quegli anni di studio e gavetta sotto la guida di Amedeo Aroma non posso, da organista, non parlare di Bach. Quando lo studi così tanto e così approfonditamente ti rimane dentro e la sua musica assoluta continua ad accompagnarmi tutti i giorni. Poi Monteverdi che adoro e De Victoria, ma anche Palestrina.
Nell’ambito della musica (allora) contemporanea rimasi particolarmente colpito dai compositori del nord. Non dimentichiamoci che in quegli anni cadeva il muro di Berlino e, come al crollo di una diga, fummo sommersi da centinaia di nuove partiture provenienti in particolar modo dall’area Slovena e soprattutto Baltica, e quindi Arvo Part, Urmas Sisak, Vitautas Miskynis e molti altri. Successivamente l’ascolto della musica della scuola minimalista scandinava mi permise di esplorare nuove sonorità e nuovi colori a tal proposito le composizioni di autori come Thomas Jennefelt rappresentano veri e propri studi sulle potenzialità sonore del coro. In Italia l’amore per il canto popolare e l’etnomusicologia mi fece intraprendere un cammino lungo ed approfondito nell’affascinante mondo dell’elaborazione numerosi autori, tra cui anche tu caro Mauro, sono diventati indirettamente miei maestri e gran parte del repertorio profano della Corale Zumellese dei miei primi anni di direzione vedeva elaborazioni di Sandro Filippi, Battista Pradal, Mauro Zuccante, Elena Camoletto, Marco Crestani, Orlando Dipiazza, Enrico Miaroma, Mario Lanaro, Piero Caraba, e molti molti altri grandi artisti dell’arte dell’elaborazione.

M. Zuccante: Difficile negare che un compositore aspiri ad essere riconosciuto per l’originalità e il fascino delle proprie opere; che ambisca ad essere apprezzato in virtù di un profilo artistico inconfondibile. Come, in tal senso, inquadreresti il tuo stile attuale?

M. Da Rold: Un filosofo che mi sta particolarmente antipatico diceva «Mann ist, was er isst» ossia «l’uomo è ciò che mangia».  Beh, per certi sensi aveva ragione. Io nella mia vita ho fortunatamente ‘mangiato’ veramente tanta musica, e tutta quella musica ha lasciato in me un segno. Il canto gregoriano, lo studio severo del contrappunto e della fuga, Bach e l’organo, l’amore per la grande polifonia la passione per il canto popolare e poi Mendelssohn che mi ruba il cuore… altrettanto significativi per me sono stati alcuni autori contemporanei di cui sovente eseguo le loro musiche con il mio coro e ho la fortuna di averli come amici (qualcuno mi fa pure le interviste). E’ innegabile che ci siano delle formule compositive di Gianmartino Durighello o di Javier Busto, di Ivo Antognini, di Miskinis, Whitacre, Lauridsen, Stroope o Arvo Part, e mi fermo perché la lista sarebbe davvero lunga, che mi hanno emozionato e pertanto sono rimaste scolpite come suggestione psichica indelebilmente nella mia memoria e quindi nella mia sensibilità musicale. Ecco, o sono l’incontro di tutto questo, e nella mia musica cerco di far parlare le mie esperienze musicali con il mio linguaggio. Le maestre pronunciavano la fatidica frase: dillo con parole tue… io cerco, di avere un linguaggio diretto, semplice, ma non scontato, scrivo se ho voglia di scrivere, se ho tempo…  ma soprattutto se ritengo di avere qualcosa di interessante da dire. Altrimenti sto zitto e suono. Scrivo per passione e odio le commissioni che mi vincolano nelle scelte e mi fanno sentire il fiato sul collo. Il mio obiettivo finale è che la mia musica piaccia a chi la canta a chi la ascolta ma pure un pochino a me.

M. Zuccante: Uno degli aspetti fondamentali della composizione corale – e, più in generale, vocale – riguarda il trattamento del testo letterario. Il conseguimento di un soddisfacente rapporto parola-suono è uno degli scopi primari per il compositore. Dalle scelte e dal modo di trattare il testo emergono i saperi, le mediazioni, i riferimenti culturali del compositore stesso. Parla di come i tuoi vissuti intellettuali si traducono in una visione estetico-musicale personale.

M. Da Rold: E’ la parola che comanda! La relazione testo-musica è fondamentale, il repertorio madrigalistico esalta questo primario legame e io credo che un musicista non possa prescindere da considerare il testo vincolante nel momento in cui si accinge a comporre un’opera corale. Credo pure possibile inventare figure retoriche che rientreranno poi nel tuo linguaggio personale. Tra i miei lavori più recenti ci sono tre madrigali. Il madrigale Mille, il madrigale del ritorno e il madrigale del diniego, in cui oltre a molte figure retoriche classiche cerco di inserirne di mie: si può esaltare la parola con il ritmo, con l’armonia e con la melodia e per me è un gioco bellissimo!

M. Zuccante: Da qualche tempo, i tuoi lavori sono accolti con successo all’estero, in particolare negli Stati Uniti. Ritieni che ci siano dei motivi particolari per cui il tuo modo di comporre incontri il favore delle compagini corali americane? Inoltre, per quella che è la tua esperienza, reputi che, al di fuori dei confini nazionali, un compositore possa trovare più facile sostegno nella diffusione e nella valorizzazione delle proprie opere?

M. Da Rold: E’ una domanda che mi sono posto anch’io… perché la mia musica piace agli americani? Ho potuto conoscere personalmente moltissimi statunitensi e tutti hanno in comune una cosa, ossia un linguaggio comunicativo molto diretto, e, anche nell’esposizione di concetti profondi, sono molto semplici e sintetici, forse anche la lingua inglese aiuta a creare questa forma mentis… e forse anche la mia musica è così.
Pubblicare negli Stati Uniti è difficile. Mi sono proposto a molte case editrici, ma, a differenza che in Italia, lì, una volta scelto un autore, scatta un meccanismo veramente funzionale di promozione di divulgazione che in Italia non c’è. Lì i cori tra l’altro fanno a gara per avere un brano da eseguire in prima assoluta e il rapporto compositore-direttore è veramente stretto e costruttivo.

M. Zuccante: Fatto salvo il tuo principale impegno con la Corale Zumellese di Mel, dedichi parte del tuo tempo anche alla formazione delle voci bianche. Ti occupi dell’avviamento dei bambini al canto corale, facendoti carico di predisporre pure un adeguato repertorio. Quali linee guida segui nella creazione di canti che siano validi e accattivanti, sia sul piano didattico che artistico?

M. Da Rold: Io credo che la cosa più importante affinché un bambino impari a cantare sia che abbia qualcosa da cantare! Mi spiego meglio, siamo immersi in un mare di musica incantabile perché priva di melodia, e quindi la prima cosa che cerco è che vi sia una melodia oltre che facilmente assimilabile anche didatticamente funzionale. Io compongo per i miei piccini, e man mano che essi crescono inserisco delle difficoltà tecniche da superare con gradualità. La voce dei bimbi è uno strumento delicato, va trattato con cura, ma oltre alla voce bisogna curare l’orecchio e il gusto musicale.
Io per esempio amo far cantare ai miei bimbi oltre alle composizioni di colleghi e amici compositori, anche molti canti popolari per la loro spiccata cantabilità melodica, e perché, citando l’amico Paolo Bon, l’arcaico fa parte di noi stessi e quindi è di immediata comprensione ed esecuzione, ma anche perché mantenere la memoria delle tradizioni, ma semplicemente un dovere di noi educatori.
Poi crescono ed entrano nel coro giovanile e allora lì le mie composizioni per ragazzi tendono ad essere più libere e si avvicinano allo stile che utilizzo per i cori misti polifonici.

M. Zuccante: La musica sacra è un terreno che ti è familiare. Liturgia, concerti nelle chiese, sono contesti in cui, chi fa un mestiere come il tuo, si trova frequentemente ad operare. Ma può capitare di scontrarsi con le direttive contraddittorie delle autorità ecclesiastiche. Qual è la tua esperienza in merito? E, come compositore, ti senti investito di un ruolo nell’ambito della comunità ecclesiastica, o la tua produzione sacra scaturisce da necessità spirituali prettamente individuali?

M. Da Rold: La musica liturgica che viene attualmente cantata nelle nostre chiese è quasi tutta brutta, e spesso pure cantata male. Formulette melodiche poverissime, ma ancora più preoccupanti sono i testi adottati… banali, tristi e a volte ridicoli.
La celebrazione liturgica è di per se stessa un’opera d’arte e il cammino escatologico di noi fedeli è assimilabile alla crescita culturale, morale ed intellettiva che l’opera d’arte compie in chi la ammira o la ascolta. Chi assiste alla celebrazione liturgica deve uscire dal tempio più maturo e con un grado di consapevolezza superiore rispetto a quando è entrato. Questa crescita si ha solo con la bellezza, la bellezza delle azioni rituali, la bellezza dei concetti contenuti nella Parola, la bellezza dell’ambiente: il tutto che ci fa intuire la Bellezza e la Bontà assoluta di Dio che è Tob. La musica non può non essere bella, ma bella significa profonda, intelligente, il cammino di anabasi verso Cristo lo possiamo attuare non rimanendo ancorati per terra con banalità utili soltanto ad accattivare il popolo visto come pubblico di show! Le canzonette o peggio le musiche da fiction come quelle composte da mons. Frisina sicuramente non fanno bene… ma dico io cosa abbiamo fatto di male noi in Italia per meritare Frisina mentre in Inghilterra hanno Rutter… si vede che peccano meno di noi.
Cito sempre il grande Bepi de Marzi ai miei allievi di liturgia (materia che ho il piacere di insegnare in conservatorio) quando dice «una notte di sudore con la barca in mezzo al mare» cosa significa? Oppure «Quando Bùssuro allà tua poorta» che, con gli accenti sbagliati, sembra un canto dei cacciatori di bisonti… e potrei andare avanti. I compositori bravi ci sono eh, ci sono pure i cori e i direttori che lavorano meravigliosamente in ambito liturgico, basti pensare al Coro Nazionale della C.E.I. diretto da Marco Berrini che propone sempre repertori consoni e raffinati.
Ci può essere musica semplice, cantabile, gioiosa e contemporaneamente bella! Basta saper scegliere bene e la Chiesa in questi ultimi anni ha scelto sempre piuttosto male. Per non parlare del Canto Gregoriano messo nel dimenticatoio e la scarsissima preparazione dei giovani sacerdoti che in seminario non cantano più.
Per tornare a me, quando mi accingo a scrivere un mottetto su di un testo sacro sto facendo un atto di fede, sinceramente non ho mai pensato che le mie composizioni potessero essere sacre ma non liturgiche. Non c’è la musica per la liturgia, la liturgia è essa stessa musica nel suo divenire e nel suo comunicare come Dio è Logos e quindi suono e quindi musica per antonomasia.

M. Zuccante: Sei regolarmente protagonista di successo nelle competizioni di canto corale e di composizione corale. Inoltre, in virtù dei numerosi riconoscimenti ottenuti, vieni sovente chiamato a ricoprire il ruolo di giurato. Dimmi le tue considerazioni in merito ai concorsi: luci e ombre, se ci sono.

M. Da Rold: Io non amo le competizioni corali, la musica è arte e non competizione. Comunque reputo il concorso un ottimo mezzo (non un fine) per lavorare in maniera meticolosa su un repertorio, per quanto riguarda i concorsi corali, o su una nuova composizione, per quanto riguarda i concorsi di composizione. E’ inutile nasconderlo, esce fuori l’orgoglio e il desiderio di dimostrare il proprio valore e allora si lavora con maggiore attenzione.
Il mondo dei concorsi in Italia rispecchia il mondo della Coralità Italiana che come si vede chiaramente tende a valorizzare punte di diamante create ad hoc e si dimentica della base e di chi lavora veramente. Oltretutto un mondo chiaramente diviso a causa di scelte politiche poco oculate e poco intelligenti, ma non mi dilungo su questi aspetti che mi interessano poco e mi auguro solamente che il futuro sia migliore, che le tante risorse che abbiamo vengano tutte giustamente ed equamente valorizzate e che il mondo corale non sia come gli altri mondi italiani ove il nepotismo, la raccomandazione e la pacca sulla spalla fanno da padrone.

M. Zuccante: Una riflessione sullo stato della musica corale veneta. Una regione, il Veneto, che, già in passato, ha espresso realtà corali di notevole livello. I musicisti della generazione a cui appartieni vanno assumendo, in ambito regionale, un ruolo di riferimento. Come valuti il contributo delle nuove leve in termini di mantenimento, rinnovamento e rilancio della coralità veneta?

M. Da Rold: La coralità veneta gode di ottima salute, In questi ultimi anni si sono avviate attività e operate scelte veramente felici, prima fra tutte l’accademia Righele, ma anche il Festival della Coralità Veneta, il Meeting per voci bianche di Bassano e poi lo storico corso di MeI e molto altro ancora. I musicisti della mia generazione e di quella immediatamente precedente hanno, giustamente come dici tu, seminato abbastanza bene, e vedo che anche quelli della generazione immediatamente successiva, stanno facendo cose egregie, cito solamente tre cari amici come Francesco Grigolo, Matteo Valbusa e Maurizio Sacquegna io infatti sono il vecchio saggio di un quartetto di amici (grandi amici) dal buffo nome di Le Sexyaltere.
Posso però assicurare  che anche i giovani direttori veneti stanno crescendo proprio bene, nel Veneto vige ancora la passione per la coralità vera, quella che nasce dal lavoro sul territorio, quella del maestro che ‘costruisce’ il suo coro formando i coristi e arrivando anche a toccare livelli artistici veramente eccelsi. Nel Veneto fortunatamente si rifugge dalla mentalità dei cori fatta con i migliori coristi dei cori esistenti che si scambiano fra di loro (ma che poi sono sempre gli stessi) mentalità questa, funzionale solamente al successo dei direttori stessi e atta ad una promozione commerciale della coralità, ma non adatta alla crescita globale: a medio lungo termine questo costume porterà ad un impoverimento della base solida a cui codeste realtà vacue attingono.

M. Zuccante: Il corso estivo di Mel, cresciuto e consolidatosi negli anni, ha acquisito fama di rilevante punto di riferimento, per la formazione dei direttori di coro. Tu ne sei stato, fin dalle origini, vigile ispiratore e animatore. Che bilancio ti senti di fare e, nel caso ci sia qualcosa da modificare, cosa cambieresti per il futuro?

M. Da Rold: Il corso di Mel è un appuntamento veramente speciale, io dico sempre a tutti i ragazzi che un direttore prima di dirigere il proprio coro e fare delle scelte importanti deve sapere ‘dove si trova’ e ‘dove vuole andare’ ossia essere consapevole dei propri limiti e cercare di superarli, ma anche delle proprie capacità cercando di valorizzarle. Il corso di Mel serve proprio a questo, non è un corso di perfezionamento, è un corso in cui si lavora sul proprio io, sulla vocalità individuale, sulla gestualità, sull’approccio comunicativo direttore-coro e tale filosofia è stata premiata, tanto che alla segreteria dell’ASAC quest’anno sono arrivate 32 iscrizioni che hanno reso il coordinamento del corso abbastanza impegnativo, e sicuramente in futuro dovremo ripensare la distribuzione delle giornate durante la settimana di lavoro. Devo assolutamente dire che anche i tre docenti di questo triennio (Dario Tabbia, Matteo Valbusa e Paolo Piana), si sono dimostrati veramente eccezionali, oltre che didatticamente e artisticamente anche umanamente.

M. Zuccante: In conclusione, Manolo, dato l’itinerario fin qui percorso, e dato il lungo tragitto che ancora si prefigura davanti a te, prova ad esprimere – per quanto sia possibile in poche parole – le ragioni di soddisfazione fin qui sperimentate, e cosa ancora ti aspetti di positivo negli anni a venire.

M. Da Rold: Io non ho mai avuto nessuna grande ambizione di successo nella mia vita artistica, e le tante soddisfazioni che si sono susseguite in questi ventiquattro anni di direzione corale hanno rappresentato sempre una sorpresa rendendo la mia esistenza magica e gratificante! I riconoscimenti, i successi, le splendide esecuzioni, ma anche gli errori e i fallimenti, poi le produzioni che mi hanno affidato, ma soprattutto le persone meravigliose che ho sempre incontrato mi fanno sentire una persona privilegiata.
Devo ammettere che ho avuto sempre dalla mia parte una meravigliosa famiglia e una moglie molto comprensiva (fortunatamente corista anche lei) e poi una seconda famiglia che è cresciuta con me negli anni che è la mia Corale Zumellese. In essa si sono succeduti centinaia di coristi, molti dei quali non cantano più da anni, ma, la gratitudine che ho nei loro confronti è e sarà sempre immensa. Ho poi la grande fortuna di insegnare in un conservatorio meraviglioso in una delle città più affascinanti d’Italia che è Matera e anche lì ho conosciuto persone stupende alcune di esse cantano nei miei cori materani che sono Il coro da Camera E.R. Duni in collaborazione con il mio amico Carmine Catenazzo e il gruppo corale rinascimentale The Ma.Ma Singers.
Ora ho ripreso a suonare l’organo e in questo periodo sto accompagnando Sara Cecchin bravissimo soprano del mio coro e, devo dire, per quanto riguarda l’organo, che il primo amore veramente non si scorda mai, anche se le ance si scordano sempre… ma sono dettagli!
Dal futuro non mi aspetto nulla, voglio che sia sempre una sorpresa come è stato fino ad oggi!


Corale Zumellese di Mel (BL)


M. Da Rold, “Vi adoro”, Corale Zumellese, M. Da Rold, dir.

MANOLO DA ROLD è nato a Belluno nel 1976, ha conseguito i diplomi in Organo e Composizione organistica al Conservatorio “A. Steffani” di Castelfranco Veneto, e in Musica Sacra presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma con il massimo dei voti e la lode, successivamente ha frequentato numerosi corsi di perfezionamento per l’organo, la direzione corale e la composizione sotto la guida di diversi docenti (G. Graden, S. Kuret J. Busto,  C. Pavese,  L. Rogg, L.F. Tagliavini, M. Ciampi, A. Aroma, G. Durighello, G. Kirschner, N. Stefanutti, B. Zagni, G. Zotto ecc.).
Si è esibito sia come solista che in duo o in trio con cantanti e strumentisti partecipando a numerosi concerti e rassegne organistiche nazionali ed internazionali.
Ha diretto numerosi gruppi vocali e strumentali e dal 1998 è direttore della Corale Zumellese di Mel, coro polifonico misto con al suo attivo oltre 700 concerti in tutta Europa e oltre oceano alla guida della quale ha conseguito primi premi e premi speciali della giuria a concorsi corali nazionali ed internazionali.
È direttore e fondatore dal 1999 del piccolo coro voci bianche “Roberto Goitre” di Mel composto da bambini di età compresa fra i sette e gli undici anni.  È direttore del Coro Giovanile di voci bianche “Roberto Goitre” di Mel composto da ragazzi dai dodici ai sedici anni con il quale svolge intensa attività concertistica.
È fondatore e direttore del coro maschile “Melos” Valbelluna,
Ha diretto in prima assoluta opere di Javier Busto, Ivo Antognini, Piero Caraba, Sandro Filippi, Giorgio Susana, Battista Pradal, Andrea Basevi, Manolo Da Rold e in prima esecuzione nazionale musiche di Z. Randall Stroope, Ivo Antognini, Erlend Fagertun, Trondt Kverno.
Come compositore si dedica particolarmente alla musica corale polifonica sacra, alla musica per cori di voci bianche con numerose partiture di carattere didattico e alle elaborazioni di canti popolari provenienti dalla tradizione orale arcaica in particolar modo dell’area veneta, trentina e friulana, ha scritto per strumento solo e per organici cameristici.
La sua musica è pubblicata da Alliance music (USA), Ut Orpheus Edizioni, Sonitus, Edizioni Musicali Europee, ASAC, Feniarco, molti suoi lavori sono stati inseriti in numerose raccolte musicali e riviste specializzate. Ha collaborato per molti anni come compositore con la storica rivista di musica corale e didattica “La Cartellina”.
Con il maestro Sandro Filippi ha recentemente pubblicato con le edizioni Sonitus un volume dal titolo “E nell’aria si sentiva…” con elaborazioni di melodie arcaiche di area prealpina, suo anche il volume dal titolo “Storie” con partiture per cori di voci bianche a cappella e con accompagnamento pianistico.
La sua musica viene eseguita da numerosi cori in tutta Europa,  Stati Uniti, Corea, Filippine, America del Sud, Nuova Zelanda.È stato il primo italiano a pubblicare con Alliance music Publications, alcune sue composizioni sono state indicate, durante la convention dell’ACDA di Salt Lake City 2015, come consigliate per i cori dei College Statunitensi.
È direttore artistico della “Rassegna Internazionale di Canto Corale” di Mel giunta quest´anno alla quarantatreesima edizione e di molte altre manifestazioni musicali.
È Commissario artistico Dell’ASAC Veneto.
Ha partecipato come relatore e direttore di coro laboratorio a numerosi convegni musicali sulla direzione corale, sul canto popolare e sulla formazione per giovani direttori, è spesso invitato come docente a corsi di perfezionamento sulla tecnica di direzione e sull’analisi e sullo studio del repertorio contemporaneo. In Europa e negli Stati Uniti è stato invitato a tenere numerose conferenze sulla sua produzione musicale.
E’ stato più volte invitato quale membro di giuria a concorsi nazionali ed internazionali di Canto Corale e di composizione.
E’ direttore del coro da Camera e docente di Formazione Corale, di Liturgia e Regia Liturgica presso il Conservatorio di Matera.
E’ direttore della Casa della Musica Zumellese affiliato all’associazione Artenuova.
Ha collaborato con l’università IUSVE di Venezia come relatore esterno sul tema “antropologia e musica” e con l’università della Basilicata sul tema “pratica della Musica Corale” nei corsi di storia della musica del Prof. Dinko Fabris.
Dal 2000 collabora con vari istituti comprensivi scolastici della provincia di Belluno come docente a corsi di alfabetizzazione musicale per alunni della scuola dell’obbligo, e come relatore e docente a corsi di formazione ed aggiornamento per insegnanti.
Ha approfondito lo studio delle discipline teologiche e liturgiche studiando presso l’“Istituto Superiore di Scienze Religiose Gregorio Magno” al Seminario “Gregoriano” di Belluno. È membro della Commissione per la Musica Sacra della diocesi di Belluno – Feltre come Coordinatore della sottocommissione per gli organisti. È membro della “Consulta Organi” della diocesi di Belluno – Feltre ed è stato membro di commissioni di restauro di organi antichi, ha pubblicato articoli, libri e opuscoli descrittivi su organi storici di rilevante interesse.È Organista nella chiesa arcipretale di Mel (BL).


M. Da Rold, “Ave Maria”, Corale Zumellese, M. Da Rold, dir.

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Orationes

ORATIONES

per coro e organo


Un lungo periodo di siccità ha caratterizzato i mesi appena trascorsi. Ecco come si presenta attualmente l’alveo del torrente che scorre dalle mie parti.

È quello stesso torrente che, qualche anno fa, esondò, provocando pesanti danni.

Era usanza nella civiltà contadina e montanara celebrare riti processionali (le cosiddette rogazioni), allo scopo di invocare condizioni climatiche favorevoli a un buon raccolto e di scongiurare eventi dannosi. Liturgie di antica origine pagana, ma che la Chiesa cattolica – soprattutto nelle piccole comunità – ha sempre assecondato.

Attualmente rimane traccia di queste antiche liturgie nella Grande Rogazione di Asiago, che si tiene il sabato che precede l’Ascensione.

Durante le rogazioni il prete e i fedeli si alternavano nella recitazione di litanie, evocanti immagini assai vivide e suggestive:

A fulgure et tempestate… Libera nos Domine!…
A flagello terraemotus… Libera nos Domine!…
A peste, fame et bello… Libera nos Domine!…
Ut fructus terrae dare et conservare digneris… Te rogamus, audi nos!
Ut pacem nobis dones… Te rogamus audi nos!…

Questi testi stimolano l’invenzione musicale. Sono parole che immediatamente si traducono in rappresentazione sonora.
Nel 1991 ho composto le prime due orazioni, per coro e organo, e nel 1997 ho aggiunto la terza, per soli, coro e organo, a completamento del trittico.


Nella prima orazione (Ad petendam pluviam) si chiede il ristoro della pioggia contro la siccità. Nella parte dell’organo echeggia fiacco un ritmo di note ribattute, debole e misera sequenza di gocce di pioggia.

Da nobis, quaesumus Domine
pluviam salutarem:
Psallite Deo nostro in cithara
Qui operit caelum nubibus:
et parat terrae pluviam.
Ut congruentem pluviam
concedere nobis digneris:
Te rogamus audi nos.

ascolta:

Oratio I “Ad petendam pluviam”


Nella seconda orazione (Contra fulgurem et tempestatem) un minaccioso borbottìo di tuoni lontani (pedale dell’organo) spaventa la gente.

Libera nos Domine
a fulgure et tempestate.
A domo tua, quaesumus, Domine,
spiritales nequitiae repellantur:
Et aerearum discedat
malignitas tempestatum.

ascolta:

Oratio II “Contra fulgurem et tempestatem”


Nella terza orazione (Pro aeris serenitate) uno squarcio di cielo sereno prende il sopravvento. Dopo un fragoroso cluster dell’organo, il soprano solista intona un Gloria Patri di conforto e gratitudine.

Adduxisti, Domine,
spiritum tuum, super terram.
Et prohibitæ sunt pluviæ de cœlo.
Domine, exaudi orationem meam.
Et clamor meus ad Te veniat.
Ad Te nos, Domine,
clamantes exaudi,
et aeris serenitatem
nobis tribue supplicantibus.
Te rogamus audi nos.
Et ne nos inducas in tentationem.
Sed libera nos a malo.
Ut fidelibus tuis
aeris serenitatem concedere digneris,
Te rogamus audi nos.
Gloria Patri et Filio
et Spiritui Sancto.

ascolta:

Oratio III “Pro aeris serenitate”


Insomma, Peccatores, Te rogamus audi nos.

ascolta:
Oratio I
ascolta:
Oratio II
ascolta:
Oratio III
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Sillabari corali: “P”

PSALM 90

per coro misto, organo e campane (1923-1924)

di Charles Ives

Charles Ives fu un compositore volontariamente isolato dal mondo musicale a lui contemporaneo, ma per molti aspetti profetico e visionario. La sua opera è stata tardivamente apprezzata.
Psalm 90, per coro, organo e campane, fu abbozzato negli anni 1894-1901, ma compiuto e rivisto intorno al 1923-1924. Ives si è espresso favorevolmente in merito a questo suo lavoro, forse perché, in esso, era riuscito ad esprimere e sintetizzare al meglio la sperimentazione in campo armonico con le dottrine mistico-trascendentali, con la profondità, l’ampiezza e la drammaticità che sono contenute nel salmo stesso.


La composizione si suddivide, sostanzialmente, in due parti. La prima (vv. 1-13), più tetra e contrastante, in cui l’uomo teme la collera di Dio e soffre per la propria precaria condizione («come erba spunta al mattino e a sera è falciata e avvizzita»).

La seconda (vv. 14-17), più luminosa e omogenea, in cui si apre per l’uomo, riconciliatosi con Dio, una speranza di gioiosa ed eterna contemplazione («Saziaci al mattino con la tua grazia: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni»).

Psalm 90 è una composizione di straordinaria modernità. L’intero pezzo poggia sul do basso tenuto, per tutto l’arco del tempo, dal pedale dell’organo. Come l’Ison dell’antico canto bizantino (“la presenza dell’Eterno”). Spuntano i quartenakkord (“la creazione”) e formazioni accordali, eccezionalmente ampie (policordi), per sovrapposizioni di terze (“l’ira di Dio”).

Es.1

Es.2  

Ci sono schizzi sonori, in un contesto pressoché atonale. Ecco cosa compare nel versetto 10 («Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo»).

Es.3  

È celebre il passaggio in corrispondenza del versetto 9 («Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira, finiamo i nostri anni come un soffio»). Un’ondata sonora che culmina con un impressionante cluster di 22 suoni. Una struttura palindroma (situata, tra l’altro, al centro dell’intera composizione): accelerazione-decelerazione, apertura-chiusura, addensamento-rarefazione.

Es.4  

Ancora un palindromo al versetto 12 («Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore»). Una sequenza melodica ascendente-discendente di 7 triadi. I suoni fondamentali degli accordi seguono la successione della scala esatonale (Do, Sib, Sol#, Fa#, Mi, Re).


Es.5

Ma stupefacente è tutta la II parte del pezzo. Una lunga coda, in cui alle voci e all’organo (solo registro salicionale, come prescritto), si aggiunge un carillon di campane (3 campane e un gong basso). Campane “in distanza”, come precisa lo stesso Ives. Ma la distanza è data anche dallo scarto tonale tra gli ostinati delle campane e la tonalità d’impianto. Si tratta di una disposizione fonica che espande lo spazio sonoro in direzioni sublimi, lontano, in pianissimo («Discenda su di noi la bellezza del Signore, nostro Dio»). Una visione della “città celeste”; un caso, ante litteram, di spazializzazione sonora.


Es.6

Dopo Psalm 90, Ives non ha composto altro di significativo. Non male, però, Psalm 90, per uno che di mestiere faceva il direttore di una compagnia di assicurazioni!



 

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Sillabari corali: “O”

HÁROM ÖNARCKÉP

per coro misto a cappella (1981-1984)

di György Kurtág

György Kurtág ha proseguito, con coerenza e puntiglio, la via degli aforismi musicali weberniani. È approdato ad uno stile in cui formalismo e espressione stanno in perfetto equilibrio. Alta precisione e controllo delle strutture, da un lato, meticolosa individuazione della sfumatura espressiva che s’intende comunicare, dall’altro. Nella sua musica si coglie il lavoro di cesello sui frammenti e di riduzione della materia ad oggetti sonori essenziali. Oggetti sonori di concezione ora semplice, ora complessa. Un’arte, quella del compositore ungherese, che non è sfoggio gratuito di abilità di scrittura, ma messa a fuoco di quei nuclei che costituiscono la quintessenza del linguaggio musicale.
Három Önarckép (Tre Autoritratti) costituiscono un sottociclo all’interno della raccolta Eight Choruses, op. 23, su poesie di Dezső Tandori (1981-1984). L’intero lavoro è stato eseguito per la prima volta dai BBC Singers, diretti da John Poole, a Londra, nel 1984.

Tandori Dezső, ritratto

Negli Három Önarckép Kurtág mette a fuoco tre situazioni espressive differenti.
Il primo brano ruota attorno alla sensazione di sprofondamento nella palude, a cui si allude nel testo poetico: scivolamenti cromatici, glissati e cluster che, per densità, raggiungono il totale cromatico. Come si diceva sopra, il quadro generale di indeterminatezza è reso attraverso la precisione dei dettagli. Ecco, infatti, come il compositore dispone le scale cromatiche.

1. Már mocsarasodom  

Assoluta essenzialità nel secondo brano. Esplorazione della sonorità corale attraverso la netta distinzione di tre sole parti. Il canto dei tenori circoscritto da due linee estreme: bassi e voci femminili. Là dove si raggiunge il culmine del fervore e dell’abbandono espressivo (“Arioso”), la tessitura è spinta alle massime distanze, per richiudersi, in conclusione, nello spazio minimo.

2. H. királyfi mostohaapja előtt  

Nel terzo Önarckép la definizione di un suono quasi orchestrale rende necessaria una complessa suddivisione della massa corale. La creazione di evanescenti sfumature timbriche richiede il supporto di più parti, ciascuna nettamente delineata. A proposito della complessità della suddivisione della massa corale prevista in alcune situazioni dell’intero lavoro, l’autore precisa, nella prefazione, che l’esecuzione richiede 16 cantori per ciascuna voce, cioè 64 elementi.

3. Önarckép 1965-ből  


https://www.youtube.com/watch?v=3l4Iyj3qwtg


Come non ricordare, nel fremito delle quintine che nel terzo Önarckép circondano le singole note, il superbo movimento finale di Stele (capolavoro orchestrale di Kurtág), in cui un accordo vibra ripetutamente sulle quintine, a un ritmo più lento e inquietante.


 

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Sillabari corali: “N”

NULLI SE DICIT MULIER MEA NUBERE MALLE

per tenore e coro misto a cappella (1943)

di Carl Orff

Nulli se dicit mulier mea nubere malle è il primo verso del Carme 70 di Catullo.
Carl Orff aveva già musicato una serie di carmina del poeta latino per coro a cappella nei primi anni Trenta, ma solo nel 1941 ha pensato di recuperare quelle composizioni, per farne l’asse portante di un lavoro teatrale, da accostare ai Carmina burana.
Ordinate secondo un filo conduttore narrativo, e incorniciate da un prologo ed un epilogo – che prevedono un intervento strumentale (4 pianoforti e percussioni) -, le brevi composizioni a cappella su testi di Catullo hanno dato vita ai Ludi scaenici intitolati, appunto, Catulli carmina (1943): un’opera drammaturgica, che s’ispira all’antico genere della commedia madrigalistica (cfr. Orazio Vecchi e Adriano Banchieri).
I Catulli carmina costituiscono, pertanto, il secondo episodio della trilogia, che si apre con i più celebri Carmina burana (1937), e che il compositore tedesco ha completato in seguito con il Trionfo di Afrodite (1953).

Nulli se dicit mulier mea nubere malle costituisce l’ultimo numero del I Atto («Odi et Amo») dei Catulli carmina.
Si tratta di un piccolo brano per tenore solista (Catullo) e coro a cappella, che esemplifica bene alcuni caratteri fondamentali della scrittura corale di Orff.
Il principio dalla percussione sillabica della parola-ritmo (martellante e ripetitiva). L’irrinunciabile ricorso alla lingua latina, intesa non solo come recupero delle radici classiche della cultura europea, ma anche come idioma ricco di elevate potenzialità ritmiche. Infine, altro carattere tipico dello stile di Orff, il procedere per giustapposizione e ripetizione di motivi, e l’esclusione di qualsiasi sorta di sviluppo.

A livello formale, la composizione ricalca l’impianto poetico.
Un doppio distico elegiaco, il cui fulcro è dato dal verbo «Dicit», che apre il terzo verso e che funge da snodo concettuale del carme.

Nulli se dicit mulier mea nubere malle
quam mihi, non si se Iuppiter ipse petat.
Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,
in vento et rapida scribere oportet aqua.

Ecco lo schema in base al quale Orff traduce musicalmente i versi di Catullo:
AA1sospensione – Bripresa di A1

A – Un rapido, leggero e danzante ritmo ternario scandito dalle voci femminili, per triadi parallele («la-le-ra, la, la, la, …»), accompagna il primo motivo del tenore solo («Nulli se dicere …»), che viene chiuso in eco da bassi e tenori.

Es. 1

A1 – Cadenza del solista («non si se Juppiter …»), sull’accordo tenuto dalle voci del coro.

Es. 2

Sospensione – Otto misure, in cui le voci saltellano sulle note mi, la («Dicit, dicit, dicit, …»).

Es. 3

B – Ripresa del ritmo danzante delle voci femminili, per terze, nel tono della dominante, e secondo motivo del tenore solo («Sed mulier cupido quod …»).

Es. 4

Ripresa di A1 – Ripetizione della cadenza del solista.
Questa volta la musica ben si allinea al contenuto del testo («in vento, in vento, […] et rapida scribere oportet acqua»). A livello espressivo, infatti, il madrigalismo rappresentato dal rapido saliscendi della cadenza del tenore solo sintetizza il senso argomentativo del brano: Catullo è afflitto dalla natura femminile, che è volubile; e vane sono le parole della sua donna, che si dissolvono nel vento e scorrono sull’acqua.

Es. 5



Il tema della donna volubile, capricciosa, girandola e infedele è ricorrente in musica.
Alcune celebri citazioni.

Mozart, Così fan tutte (1790), Atto I, È la fede delle femmine

https://www.youtube.com/watch?v=cpOW8685Mbk

 

Donizetti, Elisir d’amore (1832), Atto I, Chiedi all’aura lusinghiera

 

Verdi, Rigoletto (1851), Atto III, La donna è mobile

 

Bizet, Carmen (1875), Atto I, L’amour est un oiseau rebelle


 

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Sillabari corali: “M”

MAGNIFICAT

per coro misto a cappella (1979)

di Einojuhani Rautavaara

Composto nel 1979, questo lavoro appartiene al periodo in cui il compositore matura una propria consapevolezza stilistica, dopo essersi svincolato dalla lezione (all’epoca ancora molto adottata) della musica seriale. Per avere un riferimento, si ricorda che il Cantus Articus – la sua opera più nota – è del 1972.
Rautavaara ha dedicato il Magnificat  ad Astrid Riska, fondatrice e direttrice del Coro Jubilate di Helsinki. Il Magnificat è una composizione per coro a cappella a 8 voci miste, suddivisa in cinque movimenti.

C’è un tratto che accomuna le cinque parti. Riguarda l’aspetto stilistico. L’accoppiamento di eventi-oggetti, che scorrono su livelli sonori indipendenti. Una tecnica assimilabile al montaggio, al patchwork. La cura dei dettagli minimi è interna ai singoli oggetti sonori, è correlata alla maniera in cui essi sono definiti. Nella fase macroscopica di accoppiamento, invece, le interconnessioni tra gli oggetti vengono sostanzialmente trascurate, a favore di una giustapposizione per contrasto di caratteri (timbrici, ritmici, tonali, espressivi, o altro).

Nel primo movimento («Magnificat») gli oggetti sono: il pattern accordale fisso e di sfondo (quadriade: la, do, mi, sol), distribuito fra le parti di alto e tenore; e il duetto mosso e imitato, tra le due rimanenti voci estreme di soprano e basso.

Es. 1

Nel secondo movimento («Quia respexit – Et misericordia») l’opposizione di oggetti è data dal rapido intreccio di scale ascendenti e discendenti, per triadi parallele, eseguito dalle voci femminili; e dal vigoroso canto delle voci maschili (dapprima in ottava, quindi in canone per moto contrario), che spicca in primo piano.

Es. 2

Nel terzo movimento («Fecit potentiam») ancora opposizione tra voci femminili e voci maschili. Da una parte un motivo cadenzato e omoritmico di triadi parallele; dall’altra uno spunto melodico più libero, rubato e svolazzante, a due voci, che si muovono distanza di quinta.

Es. 3

Il quarto movimento («Suscepit Israel») presenta il missaggio tra due materiali contrastanti nel timbro: il brusìo di un rapido parlato-sillabato in pianissimo (sprechgesang dei tenori); e gli incisi melodici emergenti (bassi e alti in ottava), carichi di energia e di effetti dinamici e articolati nelle cadenze ritmiche.

Es. 4

Infine, nel quinto e conclusivo movimento («Gloria») sono abbinati le scansioni di un tricordo stretto (bassi) a una melodia (tenori), che denota richiami medievali.

Es. 5

Non s’intendano esaurite le osservazioni sui contenuti di questa composizione, che presenta sviluppi e aspetti qualitativi anche più complessi e interessanti. Non di meno, infatti, andrebbero rimarcati alcuni momenti particolarmente suggestivi e poetici, come l’evanescente conclusione del primo movimento, o la stretta finale del quarto movimento con l’elaborato canone delle voci femminili.

Es. 6

Es. 7


Ma – come si è detto – premeva soprattutto sottolineare il ricorrente apparire di eventi-oggetti sonori contrastanti, eppure giustapposti. Un connotato della scrittura, che probabilmente Rautavaara ha assimilato nell’esperienza americana di apprendistato. Sotto la guida di Vincent Persichetti e di Aaron Copland, il giovane compositore finlandese, infatti, ebbe modo di venire a contatto con alcuni standard tecnico-stilistici della musica americana del Novecento (politonalità, pandiatonismo, misture ritmico-timbriche, contaminazioni jazzistiche).







 

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Sillabari corali: “L”

THREE LULLABIES

per coro misto a cappella (1984, rev. 1991)

di Henryk Górecki

Parallelamente ad una convinta adesione alla fede cattolica, Henryk Górecki ha coltivato un forte attaccamento alla cultura e al folclore musicale della sua patria, la Polonia. Questo secondo aspetto è testimoniato dal frequente ricorrere di motivi popolari nelle sue opere. Egli ha assimilato la natura del canto popolare fin da bambino. Una prerogativa, che gli ha consentito di penetrarne la quintessenza.

Ecco, dunque, le Three Lullabies (Trzy kolysanki, 1984 – rev. 1991, anno della prima esecuzione), brevi composizioni fedelmente conformi, nella loro essenzialità espressiva, ai modelli primitivi. Le ninne nanne, ricordiamolo, sono forme archetipiche del canto umano. Condividono, presso le varie popolazioni, i tratti di estrema concisione formale e basilare comunicazione espressiva.

Górecki ha ricavato parole e melodie da una selezione di ninne nanne, pubblicata nel 1958, a cura di Hanna Kostyrko, e da un volume di opere di Oskar Kolberg, pubblicato nel 1963. Queste piccole realizzazioni del compositore polacco sono avvalorate da un’operazione di sintesi stilistica, che le rende parvenza di autentici reperti folclorici. Il tratto personale del musicista è individuabile solo in taluni, minuti dettagli. Vediamone alcuni.

La I ninna nanna (Usnijze mi, usnij) oscilla attorno alla cadenza sulla triade di do. Ma la tipologia degli accordi non è sempre la stessa. Inoltre, la chiusura sulla triade in secondo rivolto conferisce al brano una lieve sfumatura di sospensione.

Es. 1

La melodia della II ninna nanna (Kolyszze sie kolysz) si basa su una scala pentatonica. In conclusione, però, viene applicata un’estensione sull’ultima parola («zachova» la prima volta; «kochany» la seconda volta). Una ripetizione che sconfina dal modo: cadenza sulla nota si e sulla triade di sol maggiore.

Es. 2

Nella III ninna nanna (Nie piej, kurku, nie piej) la manipolazione e l’inventiva del compositore sono più palesi. La melodia del soprano, lineare ed espressiva, è combinata con il carattere nettamente contrastante dell’ostinato realizzato dalle altre voci. Si ha come la percezione di un ronzìo che disturba la quiete del sonno. Uno scombussolamento generato, oltre che dal contrasto di velocità, dal conflitto bitonale.

Es. 3

L’armonia e la quiete si ristabiliscono nella coda conclusiva («Nocka byla krótka…»). Una ripresa di poco variata del quadro iniziale (I ninna nanna). Una pagina che stabilisce un’unità formale inscindibile tra i tre pezzi. Infine, aggiungiamo che, dopo una pausa generale, c’è un “da capo in eco” (più lento – dolcissimo, «Lulaj, moja mala») del dondolìo degli accordi. Una conclusione ipnotica che svanisce, ancora una volta, sull’accordo sospeso di do.

Es. 4


Queste brevi osservazioni ci consentono di affermare che la particolare sobrietà di mezzi che caratterizzano in generale il linguaggio musicale di Górecki, non è l’effetto di un’operazione dettata da aride speculazioni teoriche, bensì l’esito di uno studio approfondito sulla sostanza del canto popolare. Uno studio confortato da un coinvolgimento spirituale molto intimo, sentito … “materno”.



 

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Sillabari corali: “K”

KNEPHAS

per coro misto a cappella (1990)

di Iannis Xenakis

Knephas (ovvero Oscurità) è stata composta da Iannis Xenakis in occasione della prematura morte dell’amico Maurice Fleuret, avvenuta nel 1990. Destinatario della prima esecuzione il New London Chamber Choir, complesso vocale altamente specializzato, al quale il compositore aveva già in passato affidato altri lavori. Knephas è una partitura estremamente complessa e tecnicamente difficile da eseguire. Richiede un minimo di 32 cantori. Il testo (o meglio non-testo) è basato su fonemi privi di significato.

Se qualcuno nutre ancora il dubbio della stretta affinità che unisce musica, matematica, geometria e (nello specifico caso di Xenakis) architettura, l’opera complessiva del compositore greco (naturalizzato francese) è la prova dell’infondatezza di questo stesso dubbio. Egli ha incarnato, nel nostro tempo, l’antico mondo pitagorico e parmenideo.

«Bach, Beethoven o Bartók quando scrivevano le loro composizioni facevano dei calcoli, sia pure relativamente semplici. Si trattava di calcolare, disporre secondo un dato ordine, compiere delle operazioni di organizzazione intellettuale, ma al di fuori di questi calcoli ci sono le decisioni che intervengono per fare in modo che quei calcoli siano più o meno evidenti, scompaiano momentaneamente in un gioco di ellissi e ritornino», I. Xenakis.


Coerente con i principi estetici del linguaggio musicale di Xenakis, Knephas si presenta come una partitura inespressiva e distaccata sul piano emotivo. Eppure, questa pagina corale impressiona sul piano dell’impatto sonoro e dell’accostamento drammatico dei suoi elementi costitutivi.

Bypassiamo la descrizione delle complesse formule e calcoli che generano la costruzione delle strutture compositive di Knephas. Limitiamoci a dire che la partitura è costruita con quattro tipologie di materiali. Questi materiali sono sottoposti, nell’arco del tempo, a vari processi di variazione di densità.

I elemento. Sequenza di accordi accentati; accordi che cambiano, ma senza un criterio di evoluzione armonica; piccoli cluster, intonati in apertura dalle voci femminili, che pungono come stridule pulsazioni; un quadro sonoro dall’effetto agghiacciante.

Es. 1

II elemento. Andamento omoritmico per voci parallele, o per moto contrario; come nello stile del corale semplice, si tratta di una successione lineare di accordi.

Es. 2

III elemento. Evoluzione dell’andamento “a corale”; contrappunto di progressioni accordali ritmicamente differenziate, sulla base di una suddivisione del coro in quattro gruppi: due gruppi di voci femminili e due gruppi di voci maschili; questa è la sezione in cui la trama vocale si fa più satura e avviluppata.

Es. 3

IV elemento. Scrittura melodica “risonante”, una novità tecnica nella scrittura corale di Xenakis; essa consiste nel fatto che il compositore prescrive che ciascuna nota della melodia sia tenuta da un cantore per la durata di una misura circa; ne risulta una banda sonora che muta, man mano che la melodia progredisce; un effetto sonoro di risonanza, che Xenakis definisce “halo”.

Es. 4


Chiude la composizione una sorprendente parodia di corale semplice omoritmico, con le voci che procedono tutte per moto parallelo; si percepiscono la melodia armonizzata e l’andamento fraseologico tipici della forma del corale. Questa sezione conclusiva sembra alludere a una sorta di epitaffio, un canto funebre in memoria dell’amico scomparso.

Es. 5


 

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